Aracne osò sfidare Atena ricamando gli amori degli dèi e le loro colpe con tela e spola, mettendo in luce con arguta ironia le astuzie e gli inganni usati per raggiungere gli scopi divini. Offesa dalla maestria e dall’audacia della fanciulla, la dea la ridusse a ragnetto, condannandola a filare dalla bocca per il resto dei suoi giorni.
Metamorfosi e corrispondenze tra attributi umani e animali sono pratiche che colpiscono anche i soggetti di Dial Dialogue Dial, seppure in maniera meno prevedibile e lineare. Nel nostro racconto-tela si procede per contrapposizioni zigzagando tra sogno e veglia, tra fiabesco e mitologico, tra magico e simbolico.
Una figura femminile con testa di nottola svetta accanto a un'architettura classica. Verosimilmente una dea, che vigila su un tempio, la cui mano vi si posa sopra, forse per custodirlo e prendersene cura - monito divino, o forse simbolo di una saggezza che torna a vegliare sugli uomini. Eppure, un senso di sospensione e drammaticità, che riecheggia ambientazioni e storie proprie delle rappresentazioni teatrali dell’antica Grecia, pervade la scena che è il soggetto del ricamo a punto lanciato, velandola di un’inquietudine metafisica.
Un corvo nero, invece, ha messo il becco in una casa ed è rimasto intrappolato in uno stato di impasse. Come per legge del contrappasso, la sua tracotanza è stata punita con l’assenza di vie d’uscita, fisso con una torcia in bocca, disinnescato. Creatura della notte, portatore di nefandi presagi ma anche simbolo sacro in alcuni miti, è qui trasformato in un faro-giocattolo di cartapesta, costretto a ruotare su sé stesso senza mai fermarsi; forse nella speranza di insegnarci qualcosa come nelle migliori favole di Esopo.
Altrove, l’immagine di una cesta di frutta davanti a cui penzola una cornetta del telefono sembra evocare la scena di un film di Hitchcock: immortalando quell’istante in cui un dettaglio prelude a un evento improvviso. Il dramma e la suspense dell’attesa, di una chiamata mancata o di una conversazione interrotta, vengono improvvisamente infrante dalla messa a fuoco di presenze che svolazzano intorno alle cibarie in primo piano sulla tavola. Piccoli insetti-putti irrompono e riscrivono la scena di una natura morta che pare estrapolata da un dipinto fiammingo.
È facile perdere il filo di queste storie tra contrapposizioni, capovolgimenti e imprevisti. Ora caricature dall’apparente risvolto morale, ora miti rivisitati, le opere si presentano come audaci assemblaggi iconografici; in cui luoghi in bilico tra interno ed esterno si fondono attraverso colpi di scena inaspettati, in cui la tensione cinematografica delle scene domestiche si dissolve in sovversioni simboliche e volumetriche, e in cui la gravitas teatrale si alterna a un’ironia dissacrante.
Una dimensione domestica lega le opere di Melanie, Sara e Maria, attraverso ambientazioni che ricordano vere e proprie scenografie, rese ancora più vivide dall’integrazione di quelli che potrebbero essere oggetti di scena – come il corvo-lampada che ruota sul motore di un tergicristallo e il telefono object trouvè; ma anche attraverso tecniche e materiali, in grado di suggestionarci intimamente – come la tela grezza amorevolmente ricamata, – che contribuiscono a costruire le architetture fisiche e psicologiche della mostra.
Un dialogo mancato, il telefono caduto di Melanie, il corvo di Sara che gira in un loop infinito, incapace di creare una relazione con qualcos’altro, sono i protagonisti di Dial Dialogue Dial. Apparentemente parte di un discorso muto, contribuiscono a definire uno spazio intimo in cui rievocare, intrecciare, e riscrivere i propri racconti. Anche loro, come Aracne, trasformati, ci ricordano come il raccontare sia caro alle tessitrici – lei stessa parte di un mito narrato e tramandato.
Conoscendo la storia di Maria Morino Savinio e ascoltando quelle di Sara Ravelli e Melanie Ebenhoch abbiamo deciso di intrecciare le loro vicende in un’unica narrazione, per raccontare quei fili invisibili che uniscono i lavori delle tre artiste, a cavallo tra generazioni e linguaggi.
Aracne osò sfidare Atena ricamando gli amori degli dèi e le loro colpe con tela e spola, mettendo in luce con arguta ironia le astuzie e gli inganni usati per raggiungere gli scopi divini. Offesa dalla maestria e dall’audacia della fanciulla, la dea la ridusse a ragnetto, condannandola a filare dalla bocca per il resto dei suoi giorni.
Metamorfosi e corrispondenze tra attributi umani e animali sono pratiche che colpiscono anche i soggetti di Dial Dialogue Dial, seppure in maniera meno prevedibile e lineare. Nel nostro racconto-tela si procede per contrapposizioni zigzagando tra sogno e veglia, tra fiabesco e mitologico, tra magico e simbolico.
Una figura femminile con testa di nottola svetta accanto a un'architettura classica. Verosimilmente una dea, che vigila su un tempio, la cui mano vi si posa sopra, forse per custodirlo e prendersene cura - monito divino, o forse simbolo di una saggezza che torna a vegliare sugli uomini. Eppure, un senso di sospensione e drammaticità, che riecheggia ambientazioni e storie proprie delle rappresentazioni teatrali dell’antica Grecia, pervade la scena che è il soggetto del ricamo a punto lanciato, velandola di un’inquietudine metafisica.
Un corvo nero, invece, ha messo il becco in una casa ed è rimasto intrappolato in uno stato di impasse. Come per legge del contrappasso, la sua tracotanza è stata punita con l’assenza di vie d’uscita, fisso con una torcia in bocca, disinnescato. Creatura della notte, portatore di nefandi presagi ma anche simbolo sacro in alcuni miti, è qui trasformato in un faro-giocattolo di cartapesta, costretto a ruotare su sé stesso senza mai fermarsi; forse nella speranza di insegnarci qualcosa come nelle migliori favole di Esopo.
Altrove, l’immagine di una cesta di frutta davanti a cui penzola una cornetta del telefono sembra evocare la scena di un film di Hitchcock: immortalando quell’istante in cui un dettaglio prelude a un evento improvviso. Il dramma e la suspense dell’attesa, di una chiamata mancata o di una conversazione interrotta, vengono improvvisamente infrante dalla messa a fuoco di presenze che svolazzano intorno alle cibarie in primo piano sulla tavola. Piccoli insetti-putti irrompono e riscrivono la scena di una natura morta che pare estrapolata da un dipinto fiammingo.
È facile perdere il filo di queste storie tra contrapposizioni, capovolgimenti e imprevisti. Ora caricature dall’apparente risvolto morale, ora miti rivisitati, le opere si presentano come audaci assemblaggi iconografici; in cui luoghi in bilico tra interno ed esterno si fondono attraverso colpi di scena inaspettati, in cui la tensione cinematografica delle scene domestiche si dissolve in sovversioni simboliche e volumetriche, e in cui la gravitas teatrale si alterna a un’ironia dissacrante.
Una dimensione domestica lega le opere di Melanie, Sara e Maria, attraverso ambientazioni che ricordano vere e proprie scenografie, rese ancora più vivide dall’integrazione di quelli che potrebbero essere oggetti di scena – come il corvo-lampada che ruota sul motore di un tergicristallo e il telefono object trouvè; ma anche attraverso tecniche e materiali, in grado di suggestionarci intimamente – come la tela grezza amorevolmente ricamata, – che contribuiscono a costruire le architetture fisiche e psicologiche della mostra.
Un dialogo mancato, il telefono caduto di Melanie, il corvo di Sara che gira in un loop infinito, incapace di creare una relazione con qualcos’altro, sono i protagonisti di Dial Dialogue Dial. Apparentemente parte di un discorso muto, contribuiscono a definire uno spazio intimo in cui rievocare, intrecciare, e riscrivere i propri racconti. Anche loro, come Aracne, trasformati, ci ricordano come il raccontare sia caro alle tessitrici – lei stessa parte di un mito narrato e tramandato.
Conoscendo la storia di Maria Morino Savinio e ascoltando quelle di Sara Ravelli e Melanie Ebenhoch abbiamo deciso di intrecciare le loro vicende in un’unica narrazione, per raccontare quei fili invisibili che uniscono i lavori delle tre artiste, a cavallo tra generazioni e linguaggi.